SPEECHFUL1 - Elvira Corbascio e la creatività del caos
Il megafono dei creativi e della creatività, di Federico Zamboni
Amiche e amici. Innanzitutto, vi chiedo di non preoccuparvi.
Sono sempre io, Federico di Eyes, e questo è sempre “Streetwear, ma spiegato bene”. Semplicemente, ho deciso di inaugurare una nuova rubrica.
Ancora non so con che cadenza pubblicherò SPEECHFUL, e non so nemmeno quando vi spiegherò cos’è SPEECHFUL, ma una cosa ve la posso dire: sarà un bel viaggio. Un viaggio nella mente di chi ha deciso di fare della creatività una parte fondamentale della propria vita. Un viaggio nella mente di chi ha deciso di ascoltarsi, per permettere alla sua essenza di emergere. Un viaggio nella mente di chi non ha accettato il mondo esterno, e ha quindi deciso di crearne uno completamente nuovo.
In ogni caso, arriviamo al dunque.
Per questo primo episodio di SPEECHFUL ho deciso di dare voce ad una persona molto particolare, che con il mondo dello streetwear c’entra ma fino ad un certo punto. Sto parlando di Elvira Corbascio, artista multidisciplinare che ha legato il suo nome al progetto YEEZY WAX e, quindi, al genio di Kanye.
Tuttavia, sarebbe folle, oltreché profondamente sbagliato, considerare Elvira una delle tante protuberanze creative della wave lanciata da Ye. La storia che mi ha raccontato Elvira, infatti, è la storia di una persona che ha avuto il coraggio di osservarsi in profondità, di guardare nei propri abissi, di fare i conti con il proprio caos. E questo le ha permesso di ricevere la stima di moltissimi artisti, oltreché di personalità come Steven Smith.
In ogni caso, io mi fermo qui. Perché l’unica persona che può raccontarci Elvira, è Elvira stessa.
D: Eccoci qui Elvira! Sono veramente molto felice di averti portato su “SPEECHFUL”, anche perché ritengo che l’arte, e in generale la creatività, siano un po’ il combustibile della vita umana. Senza creatività, infatti, non c’è umanità. In ogni caso, prima di tuffarci in argomentazioni complesse e riflessioni altrettanto complesse, ti chiedo di raccontarti ai nostri lettori: chi sei, cosa fai e perché lo fai.
R: Chi sono io? Non so bene cosa rispondere a questa domanda esistenziale, dovrei cercare di osservare in profondità questo essere che chiamate con il mio nome.
Sono l’incarnazione del dubbio, sono disordine, contraddizione, sono qualcuno di passaggio con una vita in prestito, un testimone, un errore di sistema, il risultato di molte domande e poche risposte, uno spettatore disincantato perennemente alla ricerca di qualcosa, un esploratore della solitudine.
Cosa faccio? Cerco di dare forma al mio disagio, al mio malessere, al caos che ho dentro, provo a tradurmi. Lo faccio perché devo, per non soccombere al vuoto. È il mio modo di sopravvivere, di affrontare la noia e l’incertezza, è il mio modo di scuotere l’ordine stabilito.
Insomma, “è necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno”, come disse Cesare Pavese.
D: Il termine che meglio definisce quello che fai, e in parte sicuramente quello che sei, è “artista multidisciplinare”. Dato che mi piace andare in profondità nelle cose, scomponiamo questo termine nelle sue cellule fondamentali: “artista” e “multidisciplinare”. Cosa significano questi due termini per te, e qual è il significato di “artista” per te?
R: Per me, essere un artista, vuol dire attraversarsi, esprimere se stessi, tradurre visioni in forme tangibili, senza compromessi, spingersi oltre i confini, sfidare le convenzioni, sprigionarsi. Evolvere. È un patto con se stessi, è un viaggio con se stessi, un atto di coraggio verso la propria creatività ed autenticità.
È riuscire a rivelare ciò che si nasconde in noi, è un modo di comunicare fuori dal comune, che offre spunti di riflessione, sfidando le percezioni.
Citando Miles Davis “essere un artista è suonare ciò che senti, non ciò che gli altri si aspettano. È lasciare che la tua musica parli per te.”
Significa fare quello che senti, anche quando nessun altro lo capisce, è rompere le regole, creare le tue.
Vuol dire non limitarsi a un solo linguaggio ma esplorare ogni forma d’arte. La creatività è dentro ognuno di noi, non ha confini e può essere usata in tanti modi, anche in quelli che non avresti immaginato.
D: Torniamo un attimo indietro: c’è un momento, nella tua infanzia, o nella tua adolescenza, in cui hai capito che il tuo futuro era l’arte?
R: Non credo di aver mai avuto una rivelazione riguardo al mio futuro in generale e nell’arte. Non c’è mai stato un momento specifico, ma piuttosto è stato un percorso di scoperta, di consapevolezza e di una lenta realizzazione. Ho avuto una infanzia stupenda, spensierata, mi piaceva disegnare, colorare, avevo sempre le mani macchiate di inchiostro. Disegnavo principalmente auto e scarpe da ginnastica. I momenti in cui disegnavo erano un momento di evasione, in cui il tempo era fermo. Durante la mia adolescenza ci sono stati molti momenti di disorientamento, c’è tuttora una sensazione di inquietudine e di ricerca, e ho cercato sempre risposte a queste tensioni. Rifugiarmi in quello che amo fare, è una forma di consolazione, un posto sicuro, ma anche una forma di riflessione e introspezione, per me.
Non c’è stato un istante decisivo, ma un graduale riconoscimento, un processo naturale, una consapevolezza che si è sviluppata nel tempo. Non avevo idea che l’arte sarebbe stata il mezzo attraverso il quale, avrei potuto esplorare e comprendere meglio, il mondo e me.
D: Nelle altre interviste che hai rilasciato e nella presentazione del tuo progetto principale, YEEZY WAX, ho potuto leggere che la tua passione per le sneakers risale alla tua primissima infanzia: riesci a ricollegare un motivo a questa passione così precoce, oppure pensi che sia stata una delle tante connessioni che il cervello umano fa senza motivo apparente?
R: Crescere negli anni ‘90, ha certamente avuto una influenza devastante, guardavamo l’NBA, la cultura hip hop imperava, tutto questo ha avuto un grande impatto culturale. Mio padre, fin da bambini, portava me e mio fratello, a Monza ogni anno per seguire la Formula 1 e Schumacher. Le divise della Ferrari e della Juventus, erano come trofei. Mia mamma sapeva bene, che, entrare in uno store per comprare le “scarpe nuove” era il mio momento speciale, quindi utilizzava questa promessa affinché non combinassi guai. Mi hanno sempre lasciato libera di esprimere ogni mia inclinazione, interesse, emozione, senza impormi stereotipi e senza avere aspettative. Credo sia stato fondamentale per la mia crescita, mi hanno sempre incoraggiato a seguire ciò che mi piaceva fare, senza alcun giudizio. Mi sono sempre stati emotivamente vicini, mentre esploravo il mondo e me.
Ciò che mi ha sempre appassionato alle sneakers credo sia il loro potere. Ti consentono di esprimere individualità, personalità, comunicare identità, carattere, fin dall’infanzia, sentivo il bisogno di affermarmi in questo senso, di dire la mia, e in qualche modo, attraverso le scarpe, sentivo di poterlo fare.
Indossare delle Nike o delle Jordan era una dichiarazione personale. Questo amore è cresciuto con me e mi ha spinto a esplorare e innovare in questo campo.
D: Rimaniamo in tema sneakers: in passato, hai dichiarato di essere rimasta affascinata da YEEZY e dal lavoro di Kanye. Cosa ti ha colpito nello specifico, e cosa hai visto di così diverso nell’arte di Kanye rispetto a quella di tutti gli altri designer e brand?
R: Perchè proprio YZY?
Yeezy è Yeezy.
Kanye West (Ye) ha rivoluzionato completamente il mondo delle sneakers introducendo qualcosa che non è mai stato così innovativo, provocatorio e potente.
Affidandosi al leggendario Steven Smith hanno creato modelli irripetibili, incredibili, alieni, futuristici, profondamente fuori dagli schemi, dalle linee inconfondibili. Li riconosci ad occhi chiusi.
Il design iconico di questi modelli “cattivi” ha segnato la storia di questo settore e ha fatto accantonare o dimenticare molti grandi marchi, che da sempre hanno fatto da padroni. Ad un certo punto, era come se dovessi scegliere, tra Nike, New Balance, Jordan… e Yeezy. Io le colleziono e continuo a comprarle tutte, ma se devo scegliere, scelgo Yeezy.
D: Torniamo a YEEZY WAX. Sarò as schietto as possible, come sempre: è un progetto esteticamente molto forte, quasi orrido, sicuramente surreale, non “godibile” come l’arte di altri artisti. Eppure, chiaramente, il fine ultimo dell’arte non è piacere: fosse così, l’artista non avrebbe più alcun ruolo, ma sarebbe un mero intrattenitore alla mercé del suo pubblico. In questo senso, come è nato YEEZY WAX e qual è stato il tuo pensiero nel momento in cui ha reso questo progetto pubblico?
R: Non ho mai cercato approvazione in vita mia. Il pensiero degli altri, non riguarda noi e non deve importarci.
Ero consapevole della reazione che avrei suscitato, ed era quello che volevo, una sorta di esperimento.
So che molti non comprenderanno mai il senso di quelle sculture e di quelle immagini, ma non c’è nulla da spiegare. Volevo inorridire, provocare, spaventare, incuriosire e richiamare l’attenzione di chi avrebbe riconosciuto quelle sagome sotto quella “devastazione”. Mi piaceva l’idea che ci fosse qualcosa di mio, su quelle 350.
D: Rimanendo su YEEZY WAX: raccontami, nello specifico, il processo creativo dietro alla creazione di ogni opera d’arte. Io ho avuto la fortuna di leggerlo prima di questa intervista, ma chi ci legge potrebbe non avere la benché minima idea delle complicazioni intrinseche a questo tipo di arte.
R: Quando le ho immaginate in quello stato “mostruoso” , non mi era chiaro che tipo di materiale avrei potuto usare per ottenere l’effetto che volevo. La cera è sicuramente inusuale, come lo è creare sculture orride sulla sagoma di alcune scarpe. Ma quando le scarpe in questione sono le YZY, lo sai, e le riconosci anche in una veste terrificante.
Non è stato semplice lavorarci, ma sono felice di aver ottenuto il risultato che volevo. È la mia rappresentazione e visione distorta.
D: Domanda direttissima: hai mai ricevuto feedback o apprezzamenti dal team YEEZY, o magari direttamente da Kanye? Se sì, che emozioni hai provato in quel preciso istante?
R: Se Yeezy Wax sia arrivato a Ye, non so dirtelo.
Mi sono arrivati molti messaggi con scritto “dope”, “wtf”. Ahahah. Ricevo apprezzamenti e critiche che accolgo sempre allo stesso modo, con stupore e gratitudine.
Ho conosciuto tante persone, molti designers, gente che lavora nella moda, artisti, anche membri del team sono diventati miei amici. Sono felice di potermi confrontare con loro, scambiare idee o fare una semplice chiacchierata.
Uno di questi è proprio Steven Smith, al quale riservo immensa stima e sincero affetto. Godere della sua amicizia è un onore per me. Non ho mai avuto il coraggio di chiedergli cosa ne pensa del progetto, ahahah. Lo farò.
D: Ora domanda un po’ più leggera, per toccare terra prima di spiccare nuovamente il volo: sneaker preferita? E sneaker che invece detesti?
R: Ne ho troppe preferite, sceglierne una mi costerebbe troppa fatica, ma senza dubbio ti dico che le ha disegnate tutte Steven Smith. Ho un problema con le Pods, da gennaio esco di casa con le calze.
Comunque non c’è una scarpa che detesto, ma non mi vedrete mai ai piedi le Dunk o le Reptile.
D: Ritorniamo in quota: come pensi che si evolverà YEEZY WAX nei prossimi anni? Oppure lascerai questo progetto per dedicarti ad altre produzioni artistiche?
R: Yeezy Wax potrebbe continuare a crescere e ad evolvere in altre forme, non lo escudo, come non escludo il fatto che potrebbero esserci anche altri progetti in futuro.
D: Ultima domanda, quella di rito, che mi piace porre a tutte le persone con cui ho la fortuna di parlare: lascia un messaggio alla Elvira del futuro, esprimendole le tue perplessità, le tue paure, le tue ambizioni e le cose, che, invece, ti rendono felice. Sia mai che un giorno tu ritorni su questa intervista e, guardandoti con gli occhi dell’Elvira del futuro, riguardi questa intervista con stupore, con gioia, oppure addirittura con disgusto. Insomma, facciamo finta che questa ultima domanda sia un po’ una pietra miliare della persona che sei diventata, stai diventando e diventerai.
R: Canaglia, spero che tu abbia trovato una qualche forma di pace interiore. Conserva i luoghi, le radici, la genuinità, i ricordi, tieni vicino chi ti ama, non dimenticare la solitudine e i momenti di difficoltà e di introspezione, sono stati i nostri migliori alleati e maestri silenziosi.
Fidati sempre di te.
Goditi il viaggio e abbraccia il caos con il tuo solito sorriso beffardo.
D: Questo è tutto Elvira. Ti ringrazio per avermi reso partecipe della tua creatività e del tuo caos. È stato un immenso piacere poter conoscerti, e, infatti, non posso che augurarti il meglio per qualsiasi cosa ti riservi il futuro.